Fu aggredita, picchiata a sangue, violentata e quasi uccisa. Alessandra Accardo, poliziotta, aveva appena staccato dal servizio quella terribile mezzanotte del 22 ottobre del 2022. Stava per tornare a casa e prendeva l’auto parcheggiata all’interno del porto di Napoli quando venne aggredita da un uomo, ora in carcere: “Mi sono imbattuta in questa persona che non conoscevo- ricorda in un’intervista a Sky Tg24- improvvisamente, stavo per entrare in macchina, mi ha detto tranquillamente che voleva abusare di me. E’ iniziata una colluttazione e per tutto il tempo ha cercato di ammazzarmi, poi è arrivato al suo obiettivo, quello di violentarmi”. Venti lunghissimi minuti, poi un camionista è intervenuto per salvarla.
Oggi Alessandra ha deciso di ricordare quel giorno per tutte le donne vittime di violenza che non riescono a denunciare, “sopravvissute” come lei e per tutte le donne che non sono più vive. “Essere una sopravvissuta significa che io vado avanti, a volte, anche in nome di persone che non ci sono più perché è come un dovere, l’ho subita anche io quella cosa, però io sono viva, e quindi per rispetto di tante donne che purtroppo non ci sono più per mano di uomini sbagliati, mi dico che se oggi passeggio e sorrido lo faccio anche per te”, dice.
“Ho deciso di metterci la faccia e parlare di quel che mi è successo. Le vittime vanno ascoltate, con rispetto. Condividere il dolore aiuta te e gli altri- sottolinea in un’intervista al Corriere–
Sento in questi giorni la famosa espressione ‘voglio essere l’ultima’ sulla violenza di genere. Anche io l’ho pensato. E l’unico modo che ho per fare qualcosa è essere un modello. Faccio arrivare come posso il mio messaggio contro la violenza. Se servirà a salvare anche solo una donna avremo vinto tutti“.
“Io non sentivo dolore- si legge- Lui aveva trovato una pietra per terra e con quella mi ha colpita forte non so quante volte. Mi ha staccato un’unghia a forza di sassate contro le mani. Mi ha colpito in testa. Mi ha dato un morso sulla guancia. Mi sbatteva la testa per terra e mi tirava i capelli così forte che ne ho persi ciocche intere. Sanguinavo dal volto, da un orecchio, dalle ginocchia lacerate perché mi ha trascinata dietro un gabbiotto. Ma io volevo sopravvivere e- giuro- non sentivo niente. Nessun dolore. Pensavo soltanto a come respirare perché mi stava strangolando. A un certo punto ho visto tutto nero, stavo soffocando. Nei pochi istanti che ha allentato la presa gli ho detto con un filo di voce: se mi vuoi violentare perché mi stai ammazzando? Ma era una furia, non gli importava niente di me. Ero convinta che sarei morta lì e allora ho pensato a mia madre e a mio padre, pensavo che non meritavano di trovarmi così. Ho provato un dispiacere così profondo davanti a quel pensiero… nessun genitore merita di trovare la propria figlia in quelle condizioni”.
Il suo stupratore, un bengalese di 23 anni, è stato condannato a 14 anni in primo grado per violenza sessuale e tentato omicidio. Una condanna giusta? “Non sto a giudicare la sentenza. È materia dei giudici. E non ragiono sul numero di anni. Tanto non basterebbe una vita intera… per ogni vittima gli anni di pena saranno sempre troppo pochi“, conclude Accardo. (AGENZIA DIRE)