“Perchè la sinistra non crea nuove classi dirigenti”, l’analisi di Claudio Velardi

Pubblichiamo di seguito un intervento del giornalista saggista Claudio Velardi che indaga le difficoltà della sinistra a creare nuove classi dirigenti

Alcuni amici mi hanno chiesto perché, tra i tentativi dell’ultimo trentennio di costruire in Italia una nuova classe dirigente, non ho inserito, nel post di qualche giorno fa, quelli relativi al centro-sinistra, che pure – con Prodi (1996/1998, e poi 2006/2008), D’Alema (1998/2000) e Amato (2000/2001) – ha governato per non poco tempo nel passaggio di secolo. Ho due risposte da dare, non so se soddisfacenti.

La prima: all’epoca il centro-sinistra, con trattino o senza, non si propose, nel dopo Mani Pulite, di creare una nuova classe dirigente, quanto piuttosto di utilizzare la vecchia tecnostruttura statale. Operazione di una certa sapienza, anche tatticamente accorta: i vari Prodi, D’Alema, Amato (come i ministri di quei governi, e i dirigenti massimi di partito, da Veltroni in giù) avevano il problema di confermare o completare un percorso di (re)insediamento o di legittimazione a governare, e non avevano alcuna interesse a provocare traumi dentro una burocrazia peraltro già largamente espressione dei partiti-cardine della cosiddetta Prima Repubblica. Si ponevano quindi, più o meno esplicitamente, in una posizione di continuità rispetto al passato. Fu un bene o un male? Questa linea permise di governare il paese in momenti difficili facendo cose buone (e ce ne furono, in quegli anni)? Oppure fu un freno letale al rinnovamento necessario del sistema Italia, la cui stagnazione strutturale cominciò proprio in quegli anni? Di questo si può certamente discutere, dico agli amici (Massimo Mucchetti ad esempio) che mi ricordano le differenze di qualità tra le classi dirigenti dell’epoca (e le loro scelte) e quelle attuali.

Fatto sta è che proprio verso la fine degli anni ‘90 si sviluppa nell’opinione pubblica la percezione di un crescente conservatorismo della sinistra, di un suo appiattimento sulle posizioni delle cosiddette élites. Con un salto paradossale e rapidissimo (dalla caduta del Muro all’avvio della cosiddetta Seconda Repubblica), la sinistra passò dall’essere descritta come inaffidabile e non spendibile sul piano del governo, addirittura non legittimata a farlo, ad apparire come la forza che si ergeva a difesa dello status quo: uno stigma da cui non è più stata in grado di emanciparsi. Di qui la forza oggettiva del messaggio di discontinuità – vero o falso che fosse – di Berlusconi, vero apripista in Italia della stagione del populismo. E di tutti coloro che successivamente hanno cavalcato l’onda della rivolta contro le élites.

La seconda risposta è molto collegata al primo punto, nella mia riflessione. Anche volendo, non avrei potuto assegnare una faccia a quel centro-sinistra. Berlusconi, Salvini, Renzi, Grillo, Meloni sono volti che incarnano delle stagioni (indipendentemente da ogni giudizio di merito), perché sono leadership che si affermano in quanto talireclamano di esserlo. Nella sinistra di allora e di oggi (unica eccezione la breve fase renziana, non a caso conclusasi con la sua cacciata) il tema della leadership è sempre stato rimosso: qui c’è il suo più grave (e persistente) limite culturale. Perché una rimozione così profonda? Non è semplice dire. Forse perché – azzardo – ogni persona di sinistra ritiene di avere la “sua” verità in tasca, e pensa che la politica sia talmente importante nella vita da non essere disposto a cedere “sovranità”, non consegna con semplicità e fiducia il proprio bagaglio di visione e aspettative ad un leader. Una bella poesia che, tradotta nella prosa dello scontro politico, significa la formazione per continua gemmazione di piccole fazioni politiche, ognuna sempre più gelosa della “propria” verità, e detentrici di micro porzioni di potere o di veto. Riportate questi principi nella realtà quotidiana della sinistra (di allora come di oggi) e tutto sarà più chiaro. Chi comandava quando il centro-sinistra era al governo in quegli anni? Prodi? D’Alema? Veltroni? Nessuno di questi: ma tutti andavano solo in cerca di aggiustamenti e nuovi equilibri, sempre più instabili e precari, da confermarsi periodicamente di crisi in crisi, lasciando che – nel frattempo – burocrazie e tecnostrutture consolidate si occupassero del governo vero. E così si torna al punto precedente. Altro che creazione di nuove classi dirigenti!

Ecco perché – per dirla in sintesi – il centro-sinistra dell’epoca non mise mano – sbagliando – alla creazione di una nuova classe dirigente. Errori e limiti culturali che la sinistra, a mio avviso, sconta ancora oggi.