Finanziamenti politica, Sposetti: “Indebolire i partiti ha nociuto alla democrazia”

Riprendiamo e pubblichiamo da huffungtonpost.it

Tornare al finanziamento pubblico ai partiti come antidoto ai cacicchi, per prevenire le infiltrazioni dei potentati in politica e rafforzare la democrazia sul territorio. È la proposta di Chiara Gribaudo, vicepresidente del partito Democratico, che ha pronta una norma sul tema. Ma come si finanzia la politica e quando è stato abolito il finanziamento pubblico ai partiti?

Contrariamente a quel che si crede non sono stati i Cinque Stelle a cancellare quello che dal 1974 era il principale mezzo di sostentamento dei partiti. Lo ha fatto il governo di Enrico Letta nel dicembre del 2013, un esecutivo di centrosinistra, allargato agli ex forzisti di Angelino Alfano (Ncd). Al Pd era appena arrivato il segretario Matteo Renzi, in piena fase rottamazione. In realtà la legge del 1974 era stata già abrogata per referendum nel 1993. Ma i rimborsi delle spese elettorali e delle spese per attività istituzionali hanno continuato ad esistere fino al 2013. Letta abrogò anche quelli.

La norma del 1974 (cosiddetta legge Piccoli) era stata proposta dalla Democrazia Cristiana che in soli 16 giorni aveva trovato il voto favorevole di tutto l’arco costituzionale, con l’esclusione del Partito liberale. Era nata sull’onda dello scandalo Petroli (1974), quando i segretari amministrativi dei partiti di governo furono indagati per aver ricevuto fondi dalle compagnie petrolifere affinchè sostenessero una politica energetica contraria al nucleare. Doveva servire a ovviare a fenomeni di pressioni indebite dei privati sulla politica, secondo l’assunto che se è lo Stato a provvedere ai bisogni della macchina partitica, questa è meno esposta alle pressioni esterne.

La legge Piccoli prevedeva due canali di finanziamento. Il primo ai gruppi parlamentari, che erano obbligati a girare ai partiti per il 95 per cento dell’ammontare. Gli articoli 3 e 9 disciplinavano il finanziamento annuale dei partiti per “l’esplicazione dei propri compiti e per l’attività funzionale”. Il secondo canale di finanziamento riguardava l’attività elettorale. Gli articoli 1 e 2 della legge regolavano il “concorso nelle spese elettorali sostenute per il rinnovo delle due Camere”. I partiti erano obbligati a presentazione un “bilancio” da pubblicare su un quotidiano e da comunicare al Presidente della Camera, che esercitava un controllo formale assistito dal “collegio di revisori ufficiali dei conti”.

Ma le ambizioni si rivelarono eccessive: nonostante il finanziamento pubblico, gli anni ’70 furono tempestati da scandali caratterizzati proprio dalle ingerenze dell’economia sulla politica, a cominciare dallo scandalo Lockeehd e dal caso Sindona. Il colpo di grazia alla credibilità dei partiti arrivò con Tangentopoli. Nel 1993, dunque, il referendum abrogativo dei Radicali, vinto dai sì con oltre il 90 per cento.

Con il referendum del 1993 e una successiva legge sui rimborsi elettorali, i partiti ovviarono alla cessazione del contributo diretto coi rimborsi elettorali. Spiega Paolo Bracalini, in “Partiti spa” (2012, Ponte alle Grazie) che in 13 anni di modifiche alle norme, “il rimborso per elettore è passato da 1.600 lire a 5 euro e dunque, se nel 1994 le politiche erano costate solo per questa voce 47 milioni di euro, nel 2008 l’importo ha superato la soglia dei 500 milioni”.

Nel 2013 la legge Fiano sostituisce ogni forma di finanziamento pubblico ai partiti con agevolazioni fiscali per la contribuzione volontaria dei cittadini ai partiti che siano inclusi in un registro nazionale istituito dalla legge stessa. Si tratta dell’attuale forma di finanziamento, entrata a regime dal 2018, basata sulle detrazioni per le erogazioni liberali per un verso e sulla destinazione volontaria del 2 per mille dell’Irpef. In base a questo sistema, nel 2023 i partiti hanno ricevuto complessivamente 24 milioni di euro dal 2 per mille. Il Pd è stato il partito che ha ottenuto più risorse, 8,1 milioni di euro, scelto da 530mila contribuenti. Mentre Fdi con 4,8 milioni di euro si è piazzato al secondo posto, con l’incremento percentuale più alto, del 53,5 per cento rispetto all’anno precedente. Per il M5s è stato il primo anno in cui ha iniziato a raccogliere il 2×1000, ottenendo 1,8 milioni di euro da 174mila contribuenti.

Le erogazioni liberali sono possibili fino a un tetto di 100mila euro. Sono pubbliche – sui siti delle Camere – e danno diritto ai donatori a una detrazione Irpef pari al 26 per cento nell’intervallo tra 30 e 30mila euro. Possono essere oggetto di donazioni anche le sezioni territoriali dei partiti, e le donazioni danno diritto a detrazione se sono interamente tracciabili.

Negli anni sono state proposte diverse ipotesi di riforma che in un modo o nell’altro reintroducevano forme di finanziamento pubblico. Il presupposto di tutte è la constatazione che l’indebolimento dei partiti non ha coinciso con un rafforzamento della democrazia. Dalle vicende di questi giorni a Bari, in Puglia e in Piemonte traspare una chiara permeabilità dei partiti a notabili più o meno audaci.

Ugo Sposetti, già parlamentare e storico tesoriere dei Ds, ha sempre sostenuto che fu un errore abolire il finanziamento pubblico. “A rigore – chiarisce subito in un colloquio con Huffpost – è inesatto dire che è stato abolito, perché il 2 per mille sono soldi dello Stato e lo stesso vale per le detrazioni sulle erogazioni liberali. I partiti potrebbero organizzarsi meglio, per aumentare le quote del 2 per mille. Ma certo aver abolito i rimborsi elettorali – e prima ancora il contributo diretto – è stato un grave errore che dipende in gran parte da Enrico Letta, non da Renzi come si dice talvolta. Fu Letta a non capire il fenomeno dei M5s, a pensare di poterlo fermare con un’iniziativa che ha trasformato i partiti in una burrata, dentro la quale Grillo e i Cinque Stelle sono entrati come grissini”.

Ora il Pd riscopre l’antica battaglia di Sposetti. “Mi viene da chiedere dove stavano questi signori quando queste cose le dicevo io. Comunque, se sono davvero intenzionati hanno ben poco da fare. C’è un regolamento europeo sul finanziamento della politica che consente agli Stati di finanziare i partiti dietro presentazione di progetti per il rafforzamento della democrazia. Anche Letta ha dato parere favorevole a quel regolamento e allora se fanno sul serio lo recuperino”. Dotare i partiti di risorse certe, aiuterebbe in particolare chi fa politica sul territorio.

Potrebbe essere uno strumento per tenere fuori gruppi di pressione e cacicchi? “Quello che vediamo succedere in Puglia e in Piemonte non c’entra niente col finanziamento dei partiti. C’entra invece coi metodi di selezione della classe dirigente. E da questo punto di vista- spiega Sposetti – il più grande antidoto è la partecipazione all’attività politica. Se una sezione, o una federazione sono attive e frequentate te ne accorgi della gente che si avvicina. L’errore è stato di pensare che indebolire i partiti servisse a rivitalizzare la politica. Vale lo stesso discorso per quella vergogna totale che è stato il taglio dei parlamentari. Ai tempi nostri l’attività politica sul territorio, a cominciare dalle campagne elettorali, era finanziata dal centro. E questo garantiva il partito stesso che poteva contare in una maggiore autonomia delle sue articolazioni. Dopo di che, non è che quelli della prima repubblica fossero dei santi. Ricordiamo tutti le infornate di assunzioni alle Poste. Ma certe degenerazioni erano difficili. Ma se in una federazione si avvicinava uno che comprava i voti a 50 euro o promettendo la bombola del gas, te ne accorgevi. Per questo, io inviterei a una riflessione sulle Regioni. Ormai i soldi ai territori arrivano da lì: invece che preoccuparsi del terzo mandato, i cosiddetti governatori facessero più attenzione al sistema di potere che gravita intorno a loro”.