La continua campagna di odio contro la Frontini che può influenzare “atti violenti” e discriminatori

Ora a leggere certa stampa bisognerebbe quasi chiedere scusa all’autore dello “scherzo(?)- installazione (?)” dell’altro giorno che ha colpito violentemente la sindaca come persona e come donna.

Ci troviamo dinanzi ad un artista di rilevanza internazionale (?!!!) che non pensava minimamente alla sindaca, ma ad una sua provocazione contro gli usi cambiati del “consumo di amore”.

Ci sono indagini in corso, per carità, seguiranno il loro iter, si saprà la verità prima o poi, ma per quello che ci riguarda più che un’opera d’arte la cosa ci è sembrata una volgarissima pagliacciata mirata a ridicolizzare e offendere la sindaca, probabilmente venuta fuori come idea dall’installatore e forse da un suo giro di consiglieri artistici che aveva un obiettivo molto chiaro da perseguire.

La macchina della Frontini è ben conosciuta in tutto il quartiere e non si sono mai visti veicoli parcheggiati identici, a meno di prove contrarie fornite dall’autore o dagli autori del discriminatorio gesto.

Un gesto che sembra anche la conseguenza di una campagna di odio contro la sindaca attuata da alcune gazzette e gruppi social martellante, asfissiante, che ha l’obiettivo di mettere la Frontini all’angolo e di disegnarla come la responsabile non solo dei mali di viterbo di oggi, ma di quelli di sempre, dalla notte dei tempi in poi.

Si sa che le campagne di odio, il distillare veleni di continuo, possono spingere soggetti influenzabili a compiere atti violenti o ad improvvisare provocazioni non meno violente nel loro significato e nella loro evidente antiestetica, gratuita perfidia.

La critica è un diritto inalienabile in ogni sistema democratico, ma a farla dovrebbe essere in primis l’opposizione in consiglio: e se questa mostra di essere inefficace e disunita, può essere compensata anche dalla protesta diretta dei cittadini, ma civile, corretta, non veicolata dalla mano malevola e dall’antipatia personale verso la sindaca di qualche sub guru invelenito da avvenuta lesa maestà ( ?!!!) o da manganellatori artisti (?) a caccia di pelosa visibilità, ma capaci solo di difendersi in un tristissimo anonimato più che di offrire alla città i propri dati anagrafici fieri, a petto in fuori, delle proprie invenzioni destinate a passare alla storia del cattivo gusto.