Oggi il debutto della nuova Macchina di Santa Rosa di Raffaele Ascenzi, Dies Natalis. Prima di parlarne in maniera approfondita, qualche cenno storico sulla “Macchina”
Il 6 Marzo 1251 la giovane Rosa muore nella sua casa attigua al monastero di San Damiano e ogni anno questa data è dedicata al suo ricordo con celebrazioni nella basilica che oggi porta il suo nome.
Per la Chiesa il giorno della nascita dei suoi figli è il giorno della morte, pertanto stabilisce che la memoria liturgica sia celebrata nel momento in cui, alla fine del viaggio terreno, la nostra anima è immortale e il corpo è chiamato alla resurrezione, alla fine dei tempi. La concezione che la Chiesa ha della morte è quasi gioiosa e piena di speranza, è la porta che ci introduce alla nuova vita al cospetto di Dio.
Il corpo di Rosa viene sepolto nel cimitero della sua parrocchia di Santa Maria in Poggio e fu fatto riesumare il 4 Settembre 1258 da papa Alessandro IV, allora residente a Viterbo, in seguito a un sogno nel quale, si narra, il pontefice ricevette la supplica della fanciulla di far trasportare le sue spoglie all’interno della chiesa dove in vita aveva chiesto di entrare in clausura.
Oggi, il corpo trovato miracolosamente incorrotto, è custodito all’interno di una preziosa urna in vetro ed è venerato dai fedeli che la ritengono Santa per acclamazione popolare. La prima processione con il corpo di Rosa trasportato a spalla da quattro Cardinali dalla Crocetta al Monastero di Santa Chiara, fu accompagnata dal Papa e viene ricordato come il primo trasporto da cui ebbe origine la secolare tradizione.
La prima Macchina di Santa Rosa
Tra il 1258 e il 1664, anno in cui viene realizzata la prima “Macchina”, esistono a Viterbo solo testimonianze di processioni religiose in onore di Santa Rosa.
Il primo disegno che ancora è conservato negli archivi cittadini è del 1690 e raffigura un baldacchino che inizia a slanciare le architetture barocche verso l’alto con in cima la statua della Santa. Dal 1700 in poi l’immagine di Rosa viene posta all’interno delle architetture ispirate in sequenza alternata al Gotico o al Neoclassico, che, con cadenza quasi annuale, vengono rinnovate nelle forme e negli stili.
Gli autori compongono i loro progetti sempre enfatizzando la grandiosità scenografica con sovrabbondanza di decorazioni e virtuosismi tipici del periodo, esaltando la sfida che unisce la forza fisica dei facchini con le tecnologie costruttive di cui disponevano. Le costruzioni erano in legno e in pochi anni raggiunsero altezze tali da rendere la festa viterbese un fatto quasi unico al mondo.
Per oltre due secoli e mezzo la Macchina ha avuto l’aspetto di un campanile classico, illuminato di notte a fiamma viva dal bagliore di centinaia di candele, con statue e quadri all’interno di nicchie e guglie, raffiguranti la vita e i miracoli della giovane Santa Viterbese. Suggestivo è il progetto del 1827 di Angelo Papini che riporta alla base la scena della riesumazione del corpo di Rosa con un personaggio armato di piccone nell’atto di scavare, con a poca distanza la figura interessata del Papa Alessandro IV che aveva chiesto di esaudire il sogno di Rosa. La giovane Santa viene spesso raffigurata insieme ad angeli che la accompagnano in cielo. I disegni di più di ottanta diverse Macchine di questi primi secoli costituiscono un prezioso patrimonio culturale identitario che il progetto proposto vuole rielaborare in una versione contemporanea ma conservando le linee compositive che li hanno ispirati.
Le Macchine del XX e XI secolo
Nel 1952 Rodolfo Salcini, architetto viterbese, propone un progetto che rivoluzionerà le tecniche costruttive e compositive delle macchine a spalla, sostituendo le strutture in legno con l’utilizzo di tralicci metallici che permisero di passare da 19 a 27 metri di altezza. Solo dal 1967 il ‘Volo d’Angeli’ segnò il passaggio definitivo alle forme attuali, superando i trenta metri e portando la Santa in cima alla Macchina per farla svettare sopra i tetti dei palazzi che si affacciano sul percorso. Altre sette macchine seguirono questa impostazione fino al modello attuale, con architetture iscritte all’interno di un volume troncoconico sviluppato intorno all’asse centrale.
Dies Natalis – Il progetto
Il processo compositivo del progetto non valuta solo la storia recente ma si fonda su una attenta analisi di tutti i modelli che hanno contribuito a raggiungere il prestigioso riconoscimento da parte dell’Unesco nel 2013, che ha definito il trasporto della Macchina di Santa Rosa patrimonio immateriale dell’umanità. Nel rapporto tra superfici esterne, volutamente riconducibili a forme e geometrie del passato, e nucleo centrale, dove invece compare una diversa forma di dialogo architettonico più legato a materiali e soluzioni contemporanee, si cerca di stabilire un legame armonioso tra due diversi linguaggi. La patina argentea che ricopre le statue al centro della Macchina e la struttura centrale a tubo che attraversa i fori apicali delle volte e culmina nella parte più alta ai piedi della croce, accentua questo confronto tra stili e stimola lo spettatore a una rilettura dell’intero organismo. Non si tratta di una riproposizione anacronistica di un’architettura che non appartiene più al nostro tempo, ma è il tentativo di far rivivere la più antica tradizione che ha animato per secoli le notti del settembre viterbese. La sfida di questa Macchina è arrivare ai limiti di altezza consentiti, raddoppiando quindi le dimensioni delle strutture ottocentesche grazie alle più attuali tecniche costruttive, mantenendo le armonie e la ricerca esasperata del dettaglio dello stile barocco delle macchine devozionali. Il progetto vuole raccontare con forza una storia e propone a tre livelli ascendenti il giorno in cui la Santa, per la Chiesa, ha raggiunto la vita eterna. Il passaggio dalla vita terrena, nel giorno della sua morte, alla rinascita tra gli angeli e i santi del paradiso. In questo percorso la Santa viene accompagnata da figure angeliche che scendono alla base della struttura e vegliano il corpo adagiato su una pietra, mentre intorno, come fatto terreno, compaiono figure che piangono la prematura scomparsa della giovane Rosa viterbese, ma al contempo gioiscono per la certezza della sua resurrezione. I personaggi esterni assumono una grande importanza nella composizione ma sono volutamente inseriti in una scala diversa dalla scena centrale, come pure la loro colorazione finale che li associa, anche nelle cromie, alle architetture di pietra in stile gotico richiamanti il grigio chiaro del peperino. I progettisti del passato si rifacevano a modelli architettonici non necessariamente presenti nella città di Viterbo, ma prendevano spunto nella composizione da elementi dell’architettura ecclesiastica di varia natura e origine. Solo a partire dalla metà del ‘900 quasi tutti i modelli inseriscono parti della città medievale alternando architetture, modellazioni plastiche e sculture di angeli, allontanandosi pertanto dal metodo che orientava la realizzazione dei campanili descritti in precedenza. Questo progetto, anche se volutamente ricondotto alle origini della tradizione, cerca di svelare alcuni angoli della città, trovando una sintesi tra le due differenti teorie compositive.
Piastra di base e travi in legno (h. 36 cm)
La misurazione della Macchina parte dalla spalla del Facchino di Santa Rosa, dove sono le travi in legno ancorate a una griglia in acciaio, disposte su 7 file ortogonali al senso di marcia per i Ciuffi e due laterali per le Spallette. È stata riutilizzata la stessa della macchina precedente e riadattata con piastre di ancoraggio per far partire le nuove strutture.
Tronco 1 (4,3x6m h.2,22m) eps e poliurea
Un parallelepipedo scavato con quattro scale che salgono a croce verso il centro della macchina, con mosaici cosmateschi incisi sulle superfici perimetrali, costituisce il solido basamento dove avviene la prima scena. Il corpo di Rosa adagiato su una pietra squadrata e priva di eccessivi ornamenti è posto al centro dello spazio e diventa la vera anima della celebrazione, focalizzando tutte le attenzioni dei fedeli riuniti in preghiera. Le architetture della Macchina sono tutte rivolte verso la Santa, con il compito di rievocare il primo trasporto voluto da Papa Alessandro IV nel 1258. I viterbesi da quel giorno ogni anno percorrono gli stessi sentimenti di venerazione e compiono lo stesso gesto di amore. Gli elementi decorativi alla base come le stelle cuspidate o i cubetti in serie sono presenti in vari palazzi del centro storico e nello specifico sono ripresi dal loggiato di Palazzo Alessandri a San Pellegrino. Sul fronte anteriore sono ancorati i loghi incisi su lastra di alluminio della Città di Viterbo, Sodalizio Facchini di Santa Rosa, UNESCO, GRAMAS e Giubileo 2025.
Tronco 2 (pianta quadrata 3,40m h.9m) eps e poliurea
Riprende lo stile Gotico del sepolcro di Papa Clemente IV nella chiesa di S. Francesco con colonne tortili e archi a sesto acuto che sostengono una torre ottagonale alla cui sommità, per allargare la base di appoggio del tronco superiore, sono inseriti archi a tutto sesto e modanature sovrapposte con coronamento aggettante, visibili nella parte absidale della chiesa di Santa Maria Nuova.
L’asse centrale è interamente svuotato e lascia spazio a un traliccio di acciaio rivestito di sottili lamierine accartocciate di metallo che permetteranno alla luce intensa, proiettata verso il corpo della Santa, di filtrare e creare una retroilluminazione che dall’interno della macchina tenderà ad uscire attraversando le architetture perimetrali. Avrà anche una funzione strutturale, innestandosi nelle colonne e trasmettendo i pesi della macchina distribuendo i carichi con raggio più ampio in corrispondenza delle quattro colonne collegate alla base. Accentuerà il senso di ascensione al cielo e stabilirà un legame tra la figura alla base senza vita e quella ormai protesa verso la vita ultraterrena dei santi. Il tunnel centrale permetterà anche al personale addetto al montaggio della macchina di raggiungere le parti più alte senza ostacoli.
Tronco 3 (pianta ottagonale iscritta in un diametro di 3,53m h.6,49m) eps e poliurea
La seconda scena vede la Santa in estasi, avvolta dalla luce e accompagnata in cielo da un coro di angeli. Le otto guglie poggiano su pilastri polistili e sono superate in altezza da pinnacoli ornati di foglie protesi verso l’alto per accentuare il disegno verticale della Macchina.
Tronco 4 (pianta ottagonale iscritta in un diametro di 3,26m h.3,45m) eps e poliurea
Quattro angeli si affacciano tra gli archi e con lo sguardo proteso al cielo preannunciano la terza scena.
Tronco 5 (pianta ottagonale iscritta in un diametro di 2,49 m h.6,47) eps, poliurea e lamiera
Il corpo e l’anima di Rosa sono pronti a parlare con Dio e a proteggere la città nell’alto dei cieli.
La statua inginocchiata e sorretta in alto da due angeli abbracciati è posta, come in passato, all’interno della Macchina. La cupola ha un foro apicale chiuso solo da una fitta rete metallica che sostiene la croce in cima alla struttura e consente alla luce di uscire verso l’alto.
– La struttura portante è costituita da un traliccio reticolare semplice di aste per lo più di sezione quadrangolare, di spessore variabile per ottenere una corretta distribuzione della rigidezza anche in funzione delle masse costituite dall’allegoria e dalla luci della macchina, che presenta piani di simmetria verticali. Sarà coperto quasi interamente dalle allegorie in eps e a vista solo intorno all’asse verticale al centro della macchina. È stato realizzato parte in acciaio e soprattutto in alluminio in più tronchi giuntati tra loro per mezzo di bulloni e piastre per consentirne la costruzione e l’immagazzinamento per parti all’interno di capannoni, oltre che la trasportabilità con i comuni autoarticolati.
– La tinteggiatura a smalto delle architetture perimetrali e delle statue poste sul paramento esterno ha sfondo sfumato nelle tonalità del grigio chiaro, e velature quasi a riprendere i cromatismi del peperino viterbese. Le parti interne sono di colore argento con riflessi bronzati.
– L’illuminazione di fondo è ottenuta mediante proiettori con lampade led di varia intensità, disposte principalmente alla base di ogni modulo e orientate in senso verticale. Microproiettori a led sono stati inseriti nei punti meno visibili all’interno delle sculture e nelle parti più esterne delle guglie per illuminare verso il corpo centrale della Macchina nascondendo i vari punti di emissione luminosa al fine di evidenziare meglio gli elementi fortemente caratterizzanti. Nel solido di base sono disposte delle strisce led all’interno di cavità realizzate nelle modanature per fornire una luce radente. L’illuminazione elettrica sarà integrata da fiamma viva mediante la collocazione di bicchierini in alluminio con supporto di fissaggio in lamiera realizzata su disegno a taglio laser.